SLA: ricerca made in Italy scopre quali sono le molecole responsabili
Da Redazione
Ottobre 01, 2018
Una ricerca made in Italy ha approfondito le conoscenze in merito ad una delle malattie più particolari dell’ultimo secolo, quale la SLA (Sclerosi laterale amiotrofica). La scoperta del team di ricerca ha osservato la formazione degli aggregati di proteine presenti nelle cellule nervose.
SLA: la scoperta grazie ad una nuova tecnica
La scoperta, di cui si è parlato sulla rivista Communications Biology, avviene grazie ad una nuova tecnica (per nulla invasiva) al microscopio, studiata accuratamente dall’Istituto Italiano di tecnologia e dall’Università La Sapienza di Roma.
Il coordinatore della ricerca, Giuseppe Antonacci, parla di una tecnica microscopica (a livello ottico) con un elevato contrasto. Essa consente di osservare strutture di grandezze differenti rispetto a quelle studiate fino ad ora.
Nell’osservare le cellule lese dalla malattia, ossia i motoneuroni che si occupano del segnale di movimento dal cervello ai muscoli, il team di ricerca ha messo in evidenza le strutture in cui funziona la proteina responsabile della sclerosi ( alias la Fus). La qual cosa ha portato a capire che, quando questa proteina si trasforma, le strutture cellulari si irrigidiscono e diventano viscose.
Alla scoperta di nuove diagnosi più mirate per la SLA?
Quanto appena detto sarebbe il motivo, fino a oggi ignoto, per il quale nei motoneuroni delle persone affette da SLA, nascono degli aggregati tossici, che portano alla morte dei motoneuroni. Sino ad oggi il ruolo di questi aggregati era marginale e non aveva l’importanza che assume ora con la nuova scoperta.
Sorge spontanea dunque la speranza che la nuova scoperta sia il preludio di diagnosi più mirate in grado di dare molte informazioni sui meccanismi patologici che uccidono i motoneuroni.
Alessandro Rosa, dell’Università La Sapienza, la nuova tecnologia ha osservato che la nuova scoperta “consentirà di studiare da una nuova prospettiva i granuli cellulari, che sembrano giocare un ruolo chiave nell’insorgenza di malattie neurodegenerative. Si tratta del primo passo per programmare in futuro terapie farmacologiche più mirate contro questa malattia”.
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