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Il diritto di far nascere un figlio
Da Redazione
Luglio 08, 2016
Basterebbe un aiuto concreto alle mamme e alle coppie in difficoltà per salvare ogni anno decine di migliaia di bambini che oggi vengono abortiti. È quanto emerge dalla conferenza stampa in cui la Comunità Papa Giovanni XXIII ha presentato stamattina a Bologna i risultati dell’attività svolta nel 2015 a sostegno delle donne e coppie in difficoltà nel portare avanti una gravidanza.
Presentato a Bologna il report annuale sugli interventi della Comunità Papa Giovanni XXIII a favore delle maternità difficili
Nicoletta Pasqualini, giornalista del mensile Sempre, ha introdotto la presentazione dei dati evidenziando che «sugli organi di informazione si sottolinea in questi mesi come l’Italia non garantisca sufficientemente il diritto all’aborto, ma noi oggi vogliamo cambiare prospettiva e affrontare un tema di cui poco si parla: il diritto di una mamma di far nascere il proprio figlio, senza subire condizionamenti dal datore di lavoro, dal partner, dai genitori, o senza trovarsi ad affrontare da sola mille difficoltà».
Sono state 499 le situazioni seguite dall’associazione nel corso dell’anno: nel 47% dei casi donne italiane, nel 53% straniere. Oltre la metà (55%) delle donne gestanti incontrate, stava valutando di abortire, ma due su tre, una volta che è stato offerto loro un aiuto, hanno scelto di tenere il bambino. Dato che sale al 73%, dunque 3 casi su 4, se consideriamo i dati relativi all’Emilia Romagna, dove si concentra la maggior parte degli interventi dell’associazione in questo settore.
«Oggi il vero problema non è la libertà di abortire ma la libertà di accogliere il bambino che si porta in grembo – sottolinea Enrico Masini, responsabile del servizio Famiglia e Vita della Comunità –. Basta un attimo di incertezza della madre per avviare subito la procedura dell’aborto, magari d’urgenza se si è vicini al limite dei 90 giorni. Non c’è invece alcun aiuto pubblico nei confronti della donna che vuole portare avanti la gravidanza, vista come un lusso, la soddisfazione di un desiderio anziché un elemento fondamentale per la prosecuzione della nostra società, che il calo demografico sta mettendo in pericolo».
Dal report risulta che una donna su tre tra le gestanti che si sono rivolte all’associazione denuncia di aver subito pressioni per abortire, soprattutto da parte del partner.
«Nel corso del 2015 in Emilia Romagna sono aumentate del 17% le donne in difficoltà con la gravidanza che si sono rivolte alla Comunità per chiedere aiuto – ha spiegato Andrea Mazzi, coordinatore degli interventi sul territorio – ed è maggiore rispetto al dato nazionale l’invio da parte di realtà istituzionali come i consultori e i servizi sociali anche se si tratta di una goccia nell’oceano. Perché cambino le cose dobbiamo dare aiuti ma anche fare sensibilizzazione, considerando anche il fatto che l’attuale calo demografico avrà effetti devastanti».
Paola Dal Monte, referente del numero verde 800-035036 dedicato alle maternità difficili, ha spiegato che «la prima forma di aiuto è non lasciare la donna sola ma stabilire con lei una relazione di ascolto profondo». E ha letto in diretta un sms appena ricevuto: “Ciao Paola. A. ha compito un anno il 23 giugno. E’ la nostra gioia. Grazie per i vostri consigli”. «Si parla di un bambino, la scelta è enorme – ha sottolineato Paola -. Non si può parlare di libertà se con questo termine si intende l’assoluta indifferenza. Se io rischio il lavoro o di essere lasciata dal compagno e nessuno mi aiuta, non sono libera di scegliere».
Toccante la testimonianza di Marta, 24 anni, ghanese, che parla tenendo in braccio il suo piccolo di 6 mesi: «Quando ero incinta il padre di B. ha detto che questo non era suo figlio, che lui era sposato con un’altra donna. Ho preso l’appuntamento per abortire ma l’ostetrica ha visto che ero in difficoltà e mi ha dato il numero di Silvia della Comunità Papa Giovanni XXIII. Ora abito presso il Centro aiuto vita, sto cercando lavoro. Quando sono triste guardo il mio bambino e divento felice».
«Un anno fa ci ha chiamato una ragazza di 20 anni dall’ospedale. Il papà voleva che abortisse – ha raccontato Primo Lazzari, vice responsabile generale della Comunità -. Mentre si avvicinava la data dell’aborto lei sentiva che non voleva farlo. Il nostro modo di operare è non lasciare soli, far sentire che insieme si può costruire un progetto di vita. Oggi quel bambino è nato e lei è ancora parte della nostra grande famiglia».
Dati e testimonianze aiutano ad uscire dai luoghi comuni, sottolineano gli esponenti dell’associazione.
«Di questi temi, come pure del seppellimento dei bambini aborti, non si parla – ha detto Paola dal Monte – invece al nostro numero verde arrivano anche richieste di donne che chiedono cosa fare con il loro piccolo espulso dopo un aborto spontaneo, che non si sentono di gettare via. Riconoscere un’azione come quella che facciamo aiuterebbe a far emergere questo dolore e a dare vere risposte di aiuto».
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