Referendum No Triv. Meno di un italiano su tre, ieri, domenica 17 aprile, si è recato alle urne. Inutile la netta vittoria del Sì all’85,84%. Ed, il giorno dopo la consultazione “andata male”, si apre la polemica politica. Renzi si dichiara soddisfatto della scelta astensionistica: “Non ho vinto io; hanno vinto i lavoratori che sono nel ramo petrolifero”. Grillo, invece, ringrazia i 15 milioni di votanti che hanno esercitato il loro diritto di voto.
Ma è su Twitter che si apre la polemica più aspra. A colpi di “quorum” gli italiani esprimono, a tratti, sdegno per quel mancato diritto esercitato, che puzza di tirannia, a tratti, invece, esprimono la sensazione di inutilità del Referendum. Un referendum, in ogni caso, costato 300 milioni di euro. Soldi buttati? Per molti sì, per tanti altri no, tra i quali Grillo, che lancia una nuova sfida: abbattere il “quorum”, per far in modo che a decidere siano coloro che hanno “voluto decidere”, coloro che, da cittadini onesti, hanno impiegato dieci minuti della loro esistenza per esprimere la loro opinione. E non importa quale sia la questione del dibattimento. Esprimere il proprio voto è già democrazia.
Allora, per quale ragione, un italiano su tre non ha votato? Si è disinteressato alla politica, al bene pubblico, oppure ha realmente ritenuto che questo referendum nulla avrebbe cambiato nel concreto? In effetti, la vittoria del Sì non avrebbe eliminato le trivelle nei nostri mari, ma, magari, attutito il rischio idrogeologico, derivante da uno sfruttamento scellerato dei giacimenti. Andare a votare, diritto di chi ha il dovere di far sentire la sua voce, a prescindere dalle conseguenze politiche?
