“Separati ma non troppo” – dal 13 Settembre al cinema

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Arriva al cinema una nuova commedia francese ” Separati ma non troppo” che tratta con la giusta dose di leggerezza il tema della separazione e del divorzio ai nostri giorni. Il film arriva al cinema poco dopo la recente nuova proposta di legge del senatore Pillon per la riforma della legge sul divorzio che verrà discussa a settembre e che potrebbe portare diversi cambiamenti rispetto alla norma attuale.

EUROPICTURES distribuisce al cinema dal 13 settembre il film SEPARATI MA NON TROPPO di Dominique Farrugia con Gilles Lellouche, Louise Bourgoin, Manu Payet e Marilou Berry.

SEPARATI MA NON TROPPO racconta con intelligenza e ironia una storia molto comune: tantissime coppie divorziate, in Francia ma non solo, sono obbligate a vivere sotto lo stesso tetto a causa della mancanza di fondi: questo è quello che accade anche a Yvan (Gilles LELLOUCHE) e Delphine (Louise BOURGOIN), una coppia separata costretta per ragioni economiche a condividere nuovamente lo stesso tetto e la vita di tutti i giorni, stabilendo un equilibrio famigliare completamente nuovo. Tra battute pungenti, scherzi e ripicche, i due ex coniugi troveranno anche il tempo per ricordare i momenti felici passati insieme.

SINOSSI: Delphine e Yvan divorziano. Poiché la situazione economica di Yvan non gli permette di trovare una casa, si ricorda che, in realtà, è detentore del 20% della casa in cui vive ancora la ex-moglie. Torna, allora, a vivere sotto lo stesso tetto con Delphine, in quel 20% che gli spetta: sarà in questa situazione particolare (e, a tratti, assurda) che i due ex-coniugi si renderanno conto della bellezza dei piccoli momenti di felicità di questa convivenza forzata…

INTERVISTA AL REGISTA – DOMINIQUE FARRUGIA

Qual è stato il punto di partenza per Separati ma non troppo?

Qualche tempo fa, un amico mi ha fatto leggere un articolo su Libération che affermava che il 60% delle coppie parigine divorziate erano obbligate a vivere sotto lo stesso tetto a causa della mancanza di fondi.

Ne ho subito dedotto che fosse una buona idea per un film. Ho dovuto metterla da parte al tempo delle riprese per Bis ma, successivamente e poco a poco, il seme è germogliato. Ho cominciato, così, a sviluppare il film per EuropaCorp ma senza uno sceneggiatore in mente. Poi, all’inizio della composizione della terza versione della sceneggiatura, mi sono detto: «Perché non io?». Ne ho parlato con Laurent Turner e abbiamo ripreso la scrittura insieme.

Perché ha voluto raccontare questa storia?

Inizialmente per l’evidente mescolanza di momenti comici e drammatici che una situazione di questo tipo può far nascere: ero curioso di piegare al massimo il soggetto per vedere fino a che punto sarebbe arrivata la dissonanza. Ed anche perché questa storia mi ha fatto pensare immediatamente ai personaggi del mio Delphine 1, Yvan 0. Più precisamente a quello che Delphine e Yvan sarebbero potuti diventare a vent’anni di distanza: lei, infermiera, lui senza posto fisso, due figli e sul punto di divorziare. L’idea per Delphine1, Yvan 0 è nata da una frase di Philippe Djian: «L’ultima grande avventura umana è vivere con una donna e renderla orgogliosa». A 33 anni, lo trovo magnifico. A 54 metto in scena il divorzio. Quindi non so se il mio pensiero di coppia sia così positivo; nonostante questo, non ho mai divorziato!

Come ha scelto il cast?

L’idea di Gilles Lellouche è stata immediata. Ci conosciamo bene, e so che ha un potenziale comico formidabile che, secondo me, non aveva ancora espresso appieno tranne che per alcune scene in Piccole bugie tra amici. Quindi ho scritto il personaggio di Yvan con Gilles in mente. L’idea di Louise Bourgoin, invece, è arrivata a sceneggiatura terminata. Amo molto il suo lavoro e avevo parlato di lei ad un mio amico assistente alla regia avendo la convinzione, però, che lei non volesse girare commedie. Un’idea a priori assolutamente senza fondamento e stupida, tanto che questo mio amico mi ha sollecitato ad inviarle la sceneggiatura di Separati ma non troppo: qualche giorno dopo, Louise ha accettato di interpretare Delphine. A partire da questa decisione, abbiamo riscritto leggermente il personaggio in funzione della sua interpretazione.

Come ha scovato Adèle Castillon e Kolia Abiteboul, che interpretano Violette e Lucas, i due figli di Delphine e Yvan?

Lo devo a Elsa Pharaon. Specializzata in casting di bambini e ragazzi, è stata lei a scoprire Rod Paradot, premio Cèsar come migliore promessa nel 2016 per A testa alta. È dopo aver visto il film di Emmanuelle Bercot che ho voluto lavorare con lei. Elsa ha fatto audizioni a moltissimi ragazzi, ma è stata Adèle in primis ad imporsi: le sue prove sono state decisive, così come il mio primo incontro con lei. Ha 14 anni e mi ha spiegato di avere un canale YouTube in cui i suoi video vengono visti da circa un milione di iscritti; oltre a ciò, ha persino dato vita ad un’agenzia di marketing. Mi chiedo cosa farà a vent’anni! Per Kolia il meccanismo è stato differente: i casting erano quasi finiti e mi hanno comunicato che ci sarebbe stato il video webcam di un ragazzino che non abitava a Parigi. Ed è stata la prova migliore di tutti quelli che avevo visto fino a quel momento! Entrambi hanno un appeal straordinario, ed è stato un piacere poter lavorare con loro.

E questo piccolo mondo è circondato da ruoli secondari non indifferenti…

Volevo lavorare con ognuno di loro, anche se ogni volta m’imbarazzava chiedere la loro disponibilità per dei ruoli così scarni. Ma tutti – da Manu Payet a Marilou Berry e persino Marie-Anne Chazel e Julien Boisselier – hanno accettato trovando un posto per me tra i loro numerosi impegni. Mi ha scaldato il cuore.

Anche lei appare in una scena del film in cui Yvan, in strada, viene a chiedervi aiuto…

Volevo un posticino in Delphine1, Yvan 0 e Separati ma non troppo. Ecco perché sia io che Lionel Abelanski facciamo un’apparizione, qui. Strizza l’occhio ai fan del primo film; e devo dire che mi sono anche divertito parecchio a fare l’attore.

Il fatto di aver diretto, per i ruoli principali, due attori con cui non aveva mai lavorato ha cambiato le carte in tavola per lei?

Si. Questo film è stato cento volte più angosciante dei miei precedenti. Quando giro con Kad Merad e Franck Dubosc li conosco talmente bene che so esattamente fin dove mi posso spingere e quale strada devo intraprendere per avere un buon risultato. Al contrario quando ho lavorato con Louise e Gilles, non avendo dei precedenti, non conoscevo il loro modo di lavorare. Questo ha generato un po’ più di stress.

Ha lavorato molto con loro prima di cominciare a girare?

La commedia è un ingranaggio preciso e complicato, le ripetizioni mi fanno temere di rendere il tutto troppo meccanico. Perciò, prima di girare, abbiamo fatto delle letture che hanno permesso di riscrivere certe sequenze e di rendere più fluida la sceneggiatura. Poi, una volta sul set, ho ripetuto nuovamente il processo per evitare di perdere lo slancio comico.

Come descriverebbe il suo lavoro nel dirigere gli attori?

Cerco di portare gli attori a fare quello che voglio nel modo più semplice possibile. Confido in questa frase di Chabrol: «non dirigiamo gli attori, se non per indicare loro dove si trova la mensa». Ho scoperto che Gilles ha una capacità d’improvvisazione incredibile, e questa cosa mi piace…non sono affezionato al rispetto esatto di ogni singola parola della sceneggiatura ma voglio che spirito e musica coincidano. È stato veramente un piacere lavorare con Gilles: un attore vero in tutti i sensi, che offre tutto se stesso sul set.

Si percepisce questo gusto nell’improvvisazione che viene evocato in ciascuna delle scene con Manu Payet…

Quelle scene sono state pensate e scritte molto, ma una volta sul set Gilles e Manu hanno lavorato soli in un angolo proponendomi un’altra versione che avrei potuto o meno scegliere. Tra le due non c’era alcun paragone. Tra di loro non c’è competizione, si vogliono bene e questo piacere condiviso lavorando insieme mi ha stupito non poco.

Questo film si basa sull’equilibrio tra commedia e emozioni. Come ha lavorato per garantire la coesistenza di questo connubio?

Ho cercato di mantenere fino alla fine questo complesso dosaggio, mi piace sia far ridere che far piangere. In ogni film ci sono tre possibilità: scrittura, ripresa, montaggio. E mi servo uniformemente di tutte: per cominciare, faccio una ventina di versioni della sceneggiatura in cui la commedia deve dominare ma senza oscurare l’emotività. Tutto il mio lavoro, poi, si è concentrato nel saper dosare le due componenti per evitare di perdere l’intento che avevo in mente.

Ritrova, qui, il direttore della fotografia di Bis, Rémy Chevrin. Perché questo desiderio di lavorare ancora insieme?

Rémy lavora bene sia con Christophe Honoré che con me. È prezioso, estremamente cinefilo, non ha mai paura di provare sul set; illumina molto bene le scene, in modo molto dolce e intelligente, con l’intenzione di raccontare una storia. Ci siamo capiti immediatamente sul set di Bis, quindi è stato oltremodo piacevole ritrovare lui e la sua équipe sul set di Separati ma non troppo.

Quali sono le direttive che gli ha dato per elaborare l’atmosfera visiva di Separati ma non troppo?

Avevo questa idea di un film molto luminoso; parigino ma campagnolo allo stesso tempo, in quanto l’azione si sviluppa principalmente nel 19° distretto, popolato da piccole case operaie, vicine al Buttes Chaumont.

Per dargli un’idea della visione che avevo in mente gli ho mostrato dei film, più precisamente alcune scene di film. Tre immagini di un film di Michael Mann per un’ambientazione notturna; altre tre, molto luminose, da Vivere e morire a Los Angeles, utili per un altro momento specifico del film. A volte, però, mi è capitato di esagerare senza rendermene conto: avevo immaginato, per esempio, dei titoli di testa di cui andavo estremamente fiero prima di rendermi conto che sarebbero stati la copia conforme di quelli del film American Hustle!

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