Opliti nell’arte etrusca
Da Redazione
Aprile 15, 2014
Opliti nell’arte etrusca
A partire dalla metà del VI con una maggiore evidenza durante il terzo quarto del VI secolo a.C. si assiste ad un cruciale cambiamento nella produzione dei bronzetti etruschi raffiguranti uomini in armi. Durante questi decenni infatti si rarefanno sempre più le figure di guerrieri nudi vestiti di solo gonnellino o perizoma, che avevano avuto larghissima diffusione durante il periodo geometrico e la successiva fase orientalizzante, e diventano abituali invece le figure di guerrieri dotati del tipico armamento dell’oplita.
Se i primi tipi di questa serie tradiscono comunque nella scelta del torso nudo un ancoraggio ai vecchi stilemi della fase immediatamente precedente, la presenza innanzitutto del grande scudo tondo, portato a braccio sinistro, cui si associa adesso sempre più frequentemente la lancia quale arma di offesa, mostra un chiaro e graduale adeguamento alla maniera di combattere del guerriero greco. In ciò la produzione artistica si fa chiara espressione di un’innovazione profonda nel mondo etrusco, ovvero l’introduzione della tattica oplitica che comportò netti stravolgimenti non soltanto sul piano militare, ma soprattutto su quello sociale. La conseguenza diretta della nuova acquisizione fu l’accesso delle masse cittadine alla guerra, che cambiò l’identità degli eserciti e le loro dimensioni, a svantaggio di quei centri, i quali retti ancora da un’ideologia dinastica e del potere e della guerra, si videro inevitabilmente soccombere.
I prodotti uscenti dalle officine dei bronzisti inquadrano perfettamente questa svolta: che poi nelle statuette debba vedersi una rappresentazione cultuale della divinità Laran/Mars, piuttosto che il semplice offerente, cambia poco nella sostanza, il passo è già stato compiuto. Un passo che però si concretizza con evidente ritardo, se già la pittura vascolare, di importazione prima e di imitazione locale poco dopo, con le sue scene di guerra pienamente elleniche ci propone un quadro sociale e militare ben differente negli ultimi decenni del VII sec. a.C., che ovviamente non è sfuggito all’interpretazione degli studiosi.
A dispetto della posa, rimasta sostanzialmente invariata, ovvero quella della figura incedente con il braccio destro levato in alto sopra la spalla, tipico della “divinità abbattente” di influenza medio-orientale – ma diffusasi ampiamente in Grecia durante il periodo geometrico – reggente di solito un’arma bianca, come una spada o un’ascia, il tipo adesso viene munito quasi esclusivamente della lancia, arma primaria, come già accennato, degli scontri oplitici.
Il più antico modello in cui possiamo riconoscere con una piena consapevolezza della mutata situazione è datato ai decenni centrali del VI secolo, si tratta di un bronzetto da Castelluccio La Foce, raffigurante un guerriero dotato di elmo crestato e corto gonnellino. Nonostante il pezzo sia gravemente lacunoso, manca infatti del braccio sinistro, mentre il braccio destro levato sopra la spalla è rotto all’altezza della mano non consentendo una lettura dell’arma impugnata, le gambe anch’esse rotte al ginocchio permettono comunque di riconoscere alla figura una posa stante.
Diversamente il bronzetto conservato ora al Museo Archeologico di Firenze, abbigliato solamente di una corta tunica, consente una lettura migliore seppure non sufficientemente esaustiva. Infatti conserva il braccio destro levato alto sopra la testa – lo stato di usura però non permette anche in questo caso di ricostruire l’arma impugnata – ed il braccio sinistro portato in avanti, il cui foro verticale alla mano andrebbe ricondotto ad un’arma di offesa, piuttosto che ad una da difesa; anche questa figura, nonostante sia spezzata all’altezza delle ginocchia, risulta mantenere una posa stante.
Il modello può considerarsi realmente cambiato invece con tre bronzetti, tutti provenienti dal medesimo stampo, che fungevano forse da sostegno per qualche tipo di ornamento (forse un carrello o un tripode), come ci informa il perno sul capo, che sono stati ritrovati in un deposito a Brolio in Val di Chiana.
La posa questa volta è quella del guerriero incedente, vestito di corto perizoma, torso nudo, braccio sinistro reggente lo scudo, la cui indicazione come scudo oplitico è resa certa dalla presenza del bracciale (porpax) fissato all’avambraccio, dell’impugnatura (antilabe) di cui resta traccia soltanto in uno dei tre modelli e del perno all’altezza del deltoide, che ne assicura la massima circonferenza. La testa è protetta da un elmo a calotta con margini ripiegati che lascia scoperto il volto ma copre orecchie e nuca, il cui confronto è stato ritrovato in alcuni esemplari di fattura cosiddetta illirica, un tipo in realtà sviluppato nel Peloponneso e datato tra la fine del VII e la metà del VI secolo a.C. Una variante dell’elmo illirico di fattura sicuramente etrusca, con parafronte ad arco si diffonde in Etruria a partire della metà del VI secolo a.C., indicazione indispensabile che in questo caso permette di datare le tre figure nello stesso torno di tempo.
Il particolare carattere dinamico di queste tre figure è dato, oltre che dall’avanzamento della gamba sinistra, dall’impostazione del capo, volto completamente a sinistra, e inoltre dall’inusuale accorgimento dell’arto superiore destro che, aderente al fianco, porta in alto solamente l’avambraccio, il cui palmo della mano quasi parallelo al torso, conduce la punta della lancia anch’essa verso sinistra.
Un’altra figura di guerriero ora conservata al Museo di Firenze, è paragonabile ai bronzetti di Brolio per la presenza di un elmo simile a quello illirico con i bordi ripiegati, ma munito di protezione per il naso, e per il perizoma, quale unica parte di abbigliamento; differente è invece la posa, stante, con entrambe le mani portate avanti a reggere verosimilmente una lancia ed una spada, strascico della posa di origine ittita della fase precedente. Ancora più simile ai bronzetti di Brolio appare invece un guerriero dal Museo di Bologna, che indossa un elmo crestato che ha confronti molto più stringenti con il modello di foggia illirica. Diversamente il bronzetto del Museo di Bologna è totalmente nudo, munito di alti schinieri che proteggono la gamba fino al ginocchio.
Il terzo quarto del VI secolo a.C. segna una svolta nella produzione dei bronzetti: è infatti in questo venticinquennio che si data il pezzo forse più significativo dell’intera serie finora presa in esame, il bronzetto di guerriero che decorava un calderone dalla tomba di Fonte Ranocchia nei pressi di Perugia, ora a Monaco (Munich 66). La fortuna di vedere qui concentrati tutti gli elementi su accennati, uniti all’ottimo stato di conservazione cui ci è pervenuto il pezzo, ci fornisce una possibilità di analisi più che mai esaustiva, capace di creare un raccordo con le successive classi produttive. Questo guerriero indossa un elmo chiaramente corinzio dai bordi incisi, cui si attacca alla sommità uno slanciato cimiero a protome di uccello dal quale si diparte un lophos quasi integro stilizzato a fitte linee incise. La destra portata in alto reca una lancia eccezionalmente intatta, dalla lama foliata, al braccio sinistro piegato in avanti sul fianco sta ancora attaccato lo scudo, anche se parzialmente lacunoso, dall’elegante forma ellittica più che circolare. Il torso resta ancora nudo, il sesso è coperto da un corto gonnellino, la gambe protette da schinieri. La datazione di questo bel pezzo della bronzistica etrusca è fornita dal confronto con l’elmo corinzio raffigurato sul pannello del carro di Monteleone, datato al 540 a.C.
Il guerriero di Fonte Ranocchia è seguito da un altro conservato al Museo di Londra (London 457). La posa di questo pezzo è pressoché identica a quella del precedente, se non per il braccio sinistro – mancante dello scudo – che qui è lievemente piegato verso il petto della figura in un movimento di vera e propria difesa del corpo. Presenta inoltre il capo protetto da un elmo corinzio dalla foggia molto simile all’esemplare di Fonte Ranocchia, porta le cnemidi, ha tunica coprente sesso e natiche e, fatto assai rilevante, è il primo bronzetto a mostrare una corazza a campana. Occorre dunque soffermarsi su questo cambiamento significativo.
L’introduzione della corsetto in lamina di bronzo in Grecia avvenne durante i decenni finali del VIII sec. a.C., ad Argo è stato rinvenuto l’esemplare finora noto come il più antico che condensa già in sé tutti quei caratteri che rimarranno sostanzialmente invariati per più di due secoli. Ma tale tipo di panoplia formata dall’associazione della corazza a campana e del gonnellino in cuoio diviene comune in Etruria soltanto durante il tardo arcaismo, e può pure presentarsi nella produzione artistica priva di gonnellino, lasciando nudo il sesso, evidente riflesso della tendenza della scultura arcaica greca a lasciare nude le figure.
Il nuovo apporto dunque raggiunge la bronzistica etrusca – seppure con notevole ritardo rispetto alla ceramografia – la quale, estremamente ricettiva verso i modelli di origine orientale prima e greca dopo, sfoggia e in parte rielabora con elegante disinvoltura o impacciate interpertazioni le nuove acquisizioni eternandole in simboli di potere, di forza guerresca e di agiatezza economica, che testimoniano un dialogo continuo e dinamico, certo frutto dell’intraprendenza dei mercanti greci, primi fra tutti gli euboici ed i corinzi. Diretta conseguenza ne sono gli elmi di tipo calcidese che si trovano associati in misura sempre maggiore al nuovo tipo di corazza pesante, seguiti da quelli di tipo corinzio e in scala minore dai tipi cretesi.
Di certa origine euboica erano i primi eserciti che inflissero la tremenda sconfitta alle armate alleate etrusche nei campi presso Cuma nel 524 (Dion. Hal. VII, 3-4), mostrando la superiorità dell’armamento e della tattica greca, che gli permise di sbaragliare un nemico numericamente maggiore. Fatto che indubbiamente pose gli etruschi in condizione subalterna e vorace delle nuove ed efficienti armi, difese e tecniche belliche greche.
La corazza che ritroviamo nella produzione calcheutica può essere di tipo semplice, come quella mostrata sul guerriero di Fonte Ranocchia, dalla superficie liscia e dalla forma quasi cilindrica caratterizzata unicamente da un lieve rigonfiamento ad indicare il seno, o recare ancora delle decorazioni spiraliformi sempre ad evidenziare il torace.Ancora da Brolio ci è giunto un bronzetto in assalto questa volta dotato di panoplia completa: l’elmo privo di nasale e munito di corto paranuca e paragnatidi ricorda molto gli esemplari di tipo cretese riadattati in ambiente etrusco, il nostro è sormontato da un cimiero. La corazza è del tipo pesante a campana liscio privo di indicazioni anatomiche, le cnemidi recano linee incise a rilevare i muscoli delle gambe, l’inguine è coperto da un perizoma triangolare, il cui bordo è evidenziato da brevi linee verticali. Il pezzo datato al decennio 540-530 si colloca immediatamente dopo i tre esemplari già citati, mostrando già un radicale cambiamento nella visione della figura del guerriero.Un altro bronzetto recante una panoplia completa è ora conservato a Leida (Leiden C.O. 32): questo guerriero indossa un elmo del tipo cosiddetto calcidese, con paragnatidi angolari, sormontato da un alto cimiero desinente a protome animalesca (con molta probabilità potrebbe trattarsi di un volatile), che trova confronto con l’elmo indossato da Achille nella tomba dei tori di Tarquinia. La corazza a campana reca motivi spiraliformi in rilievo all’altezza del torace e termina al basso ventre con un anello piuttosto ispessito. Il prolungarsi della corsetto ben oltre l’attacco del braccio alla spalla è da interpretarsi come continuazione della tunica sottostante. I fianchi sono coperti da un gonnellino in cuoio scandito da rade pieghe verticali, il sesso è protetto invece da un piattello semicircolare. Il bordo inferiore delle cnemidi presenta un delicate feather hatching. Le braccia sono integre ma mancano entrambe delle armi. Per questa figura Cristofani ha proposto un’identificazione con il dio Laran.
Differenti apporti sono recati invece da un altro bronzetto di guerriero conservato anch’esso a Londra (London 453). Il modello ha il capo protetto da un elmo dalla forma conica piuttosto stretta e allungata che sulla fronte reca delle decorazioni a volute incise. La corazza del tipo interamente di cuoio – la prima riconosciuta in un bronzetto etrusco – è arricchita dalla presenza di spallacci (epomides), realizzati interamente a incisione e decorati con un leone, che si allacciano al petto. La parte bassa della corazza reca un motivo a rombi orizzontale (a indicazione forse delle placche metalliche applicate), seguito più in basso da una superficie scansionata da linee verticali, mentre il bordo è decorato da una stretta banda orizzontale. Dal momento che nessuno gonnellino risulta presente, è ipotizzabile che questo sia stato rappresentato tramite l’elaborata serie di decorazioni con cui termina la corazza, probabile elaborazione di un tipo tuttavia esistente e che è stato qui tradotto con qualche perplessità dall’artigiano. Le cnemidi, sono evidenziate appena da una sottile linea, che terminando assai sopra il ginocchio li fa risultare troppo alti e poco pratici, sono eccezionalmente associati da scarpe.
Il Marte/Laran
La prima figura invece che può essere considerata con un discreto margine di certezza quale identificazione più antica di Marte/Laran è il bronzetto di Ravenna (Leiden C.O. 1), probabile dedica di un personaggio di spicco volsiniense in un luogo di culto. Il motivo dell’identificazione quale dono votivo è fornito da un’iscrizione corrente lungo la coscia destra del dio (thucer ermenas thuruce).
Il bronzetto, sicura opera di bronzisti orvietani, impugnava la lancia con la destra e lo scudo con la sinistra, è dotato di panoplia completa, con corazza a campana, da cui ricade un gonnellino, il cosiddetto apron) che copre solo la parte frontale lasciando scoperte le natiche. L’elmo, pur dotato di paragnatidi, lascia indifeso l’intero viso, e trova confronti piuttosto stringenti con alcuni cippi della necropoli di Crocifisso del Tufo di Orvieto. Il cimiero, rotto, era conformato a protome di cigno. Il viso nel caratteristica della bocca incurvata ai lati, occhi amigdaloidi risente notevolmente degli influssi ionici coevi. Le cnemidi come solito proteggono le gambe e sono scanditi da un margine inciso e fittamente puntinato, trasposizione nel modello in bronzo dei chiodi ai quali era assicurata l’imbottitura in cuoio interna. L’opera è interpretata come dono votivo dalla Martinelli, anche per il tipo di corazza indossato: partendo infatti dall’assunto che tale tipo di protezione caratterizza sì i segnacoli della necropoli orvietana, ma non è mai stato rinvenuto all’interno dei corredi tombali. I quali invece essendo provvisti solamente dell’associazione di lancia e coltello tradiscono un diverso modo di armarsi per la guerra, che è il derivato di un’ideologia locale.
Differentemente da quanto accade a Vulci, in particolare in contesti pertinenti a personaggi che svolgono un ruolo di spicco in ambito militare. A Orvieto tale tipo di armatura assume un valore simbolico.
I primi bronzetti votivi del periodo Geometrico erano nudi, caratterizzati dal solo elmo, che brandivano un’arma nella destra di chiara derivazione greca: durante il periodo orientalizzante si diffonde una nuova maniera, che aveva come elementi tipici il bare headed, indossando un loincloth, in posa ittita armato di spada e daga; un terzo tipo si diffonde durante il secondo quarto del VI, bare headed, con perizoma triangolare e con lancia verticale nella mano destra, anche questo tipo era di derivazione siriana
Durante il periodo del tardo arcaismo la produzione calcheutica di guerrieri aumenta sensibilmente, dando sostanza ad una cospicua serie tipologica che è stata suddivisa in tre categorie. Qui mi limito a citare le prime due categorie, interrompendo lì il mio campo di indagine. La prima, definita Tradizionale, è caratterizzata da una molteplicità di figure tutte molto differenti tra loro, che sostanzialmente si riassumono nei guerrieri dotati di panoplia completa, in linea con la produzione precedente e guerrieri con solo elmo e cnemidi, che ricompaiono sullo scadere del secolo dopo una significativa interruzione. La seconda, Severa, è la più significativa delle tre: la posa rimane sostanzialmente invariata – il tipo in assalto è ormai canonizzato nella sua ieraticità – eppure i tipi uscenti dalle officine più impegnate mostrano una strettissima aderenza innanzitutto alle raffigurazioni vascolari della coeva ceramica attica.La predilezione per l’elmo corinzio lascia pian piano il posto a quello attico che diviene modello per eccellenza, dotato di paragnatidi semovibili, le quali da adesso sono sempre sollevate lasciando il volto scoperto, mentre alla sommità può presentare un vistoso lophos o un cimiero a protome di animale. La corazza, abbandonato o quasi il pesante bronzo, ricalca ormai pienamente i modelli in cuoio, rivelando una maggiore attenzione verso i dettagli decorativi, ora resi a rilievo ora a minute incisioni, e maggior cura è dedicata anche alle anatomie capaci adesso di assumere aspetti decisamente monumentali, elaborato frutto locale del costante dialogo con l’ambiente scultoreo ionico e attico.
Alla categoria cosiddetta Tradizionale pertiene un piccolo bronzo dotato di panoplia completa oggi al West Berlin Museen (Fr. 2164.) La testa troppo grande rispetto al corpo indossa un elmo desinente in protome di cigno, dotato ancora di paragnatidi fisse, che ricorda ancora il tipo corinzio, sebbene un la complessa decorazione di cerchielli a rilievo e linee incise lo accosta alla fantasia decorativa dei prossimi modelli attici. La corazza in cuoio con epomides e anch’essa decorata da linee e cerchielli incisi e gonnellino con pteruges, è troppo corta e termine ben sopra l’inguine lasciando il sesso ben in evidenza, una linea continua associata ad puntinato correnti dalle cosce alle natiche assicurano la presenza di una tunica sottostante il corsetto.
Nemmeno nelle cnemides la decorazione si esaurisce, mostrando una elaborata serie di incisioni atte ad evidenziare il ginocchio e la muscolatura. L’arto superiore sinistro è ripiegato frontalmente e lo scudo, ora perduto ricopriva parte del busto, il sinistro alzato è protetto, fatto assai raro, da un bracciale posto sull’avambraccio decorato con una schematizzazione della muscolatura. Un ulteriore bracciale è forse da riconoscere pure braccio subito là dove termina il corsetto. Il foro alla mano è quanto resta dell’originaria lancia applicata.
Al secondo quarto del V si data il bronzetto di guerriero di provenienza sconosciuta ora al Museo Archeologico di Firenze. La resa accurata dei dettagli della corazza, dell’elmo e dello scudo, uniti ad un ottimo stato di conservazione, non fosse per la lama della spada ormai perduta, ne fanno un ottimo reperto, capace di riassumere molti tratti della produzione fin qui esplorata mescolandoli a nuovissimi apporti tanto nella posa e nei tratti del volto che tradiscono una marcata influenza della corrente severa, quanto nella scelta degli attributi. Cristofani non esita a considerarlo capostipite dei bronzetti di guerrieri provenienti dall’area padana, incarnante in pieno l’ideale dell’aristocratico combattente. L’elmo con attico con spesso lophos desinente a coda con paragnatidi sollevate è decorato da un frontale triangolare con palmetta a incisione, la corazza, con epomides desinenti a punta e allacciate al petto, è costituita da un corsetto a scaglie e un gonnellino a fimbrie, sotto è una tunica, che non copre il sesso, lo scudo è tenuto avanti ed in parte rivolto in alto è decorato da un episema a ruota puntinato. Le cnemidi hanno il bordo decorato da perline. Eccezionalmente il braccio sollevato non regge una lancia, attributo abituale dell’oplita, ma una spada il cui pomo e la guardia aggettanti dalla parte del taglio la inquadrano più come machaira o kopis.
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