Perché si dice parlare a vanvera?

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Ci sarebbe persino una neanche troppo velata allusione al ‘didietro‘ nell’espressione ‘parlare a vanvera’, usata per indicare chi parli a caso, all’aria, senza riflettere su ciò che dice né azionare la forza mitigatrice del pensiero. Infatti ‘aprire la bocca tanto per darle fiato’ è un giusto equivalente.

‘Parlare a vanvera’,  locuzione d’uso comune, potrebbe avere tra le tante origini anche una derivata dal nome di uno strumento eccentrico inventato nel ‘600 per risolvere fastidiosi quanto rumorosi imbarazzi gastrointestinali di aristocratici e nobildonne. La locuzione è tuttavia in parte ancora misteriosa perché non se ne conosce esattamente l’origine. O meglio ci sono più derivazioni etimologiche in campo. Andiamo a scoprirle.

Parlare a vanvera, il perché di un’espressione

Chi proferisca parola senza riflettere, a casaccio, sta proprio parlando a vanvera. Ma la provenienza della parola non è chiara, o almeno non univoca. Le ipotesi sono tante. Alcune più fantasiose e suggestive. Secondo alcuni studiosi della lingua italiana, la radice della parola è la stessa del termine vano. E parlare a vanvera starebbe a indicare parlare a vuoto, inutilmente.

Altri ritengano che l’etimologia abbia un fondamento nel gioco della bambara che pare sia di origine spagnola. Sarebbe un parlare immaturo o bamboccesco. Un’altra ipotesi è che vanvera sia derivata da ‘fanfera’, un’espressione onomatopeica che riproduce il suono fanf-fanf, tipico di chi farfugli, appunto, senza dire niente di sensato.

Un’interpretazione particolare, la vanvera contro i disturbi gastrointestinali

Ma il significato più colorito e pittoresco sarebbe quello di ‘parlare con il didietro’ o con il sedere, dal momento che la vanvera era uno strumento inventato dai Veneziani nel Seicento e usato fino a tutto il Settecento per placare problemi arrecati dai gas intestinali.  Uno stumento realizzato sia nella versione da alcova che da passeggio, che avrebbe dovuto risolvere meteorismo e flautulenze di ‘serenissimi’ aristocartici e serafiche gentildonne.

Lo strumento a forma di sacca, era dotato di un tubicino che veniva infilato nella parte terminale dell’intestino. In questo modo si sarebbe dovuto evitare che chi andasse a teatro o frequentasse luoghi pubblici potesse dare disturbo con rumorosi peti.

Avrebbe consentito di farli, invece, appartandosi magari in remote calli o in luoghi isolati. Che lo strumento funzionasse o meno, resta il fatto che per estensione parlare a vanvera è un’offesa perché viene tacciato di farlo chi parlando stia facendo uscire gratuitamente fiato. O, peggio, gas mefitici.

Una versione eccessivamente fantasiosa

Umoristica e del tutto fantasiosa è infine la paraetimologia secondo cui la nostra locuzione deriverebbe dal nome Vera Van, personaggio del tutto inventato per dare una spiegazione alternativa all’origine di questo modo di dire. Infatti si tratta di un racconto creato dalla scrittrice Bianca Pitzorno autrice di molti libri per bambini e ragazzi. Il racconto è contenuto infatti in una raccolta non a caso intitolata ‘Parlare a vanvera’ che attraverso dieci racconti spiega creativamente l’origine di altrettanti modi di dire.

E’ incentrato sulla storia una bambina di nome Vera Van che ama ascoltare tutto e che a cinque anni ha la frenesia di andare a scuola per ascoltare le lezioni. La maestra teme che si annoi, ma Vera scuote la testa, ci tiene troppo a iniziare la scuola, viene iscritta e da quel momento si immerge nella dimensione dell’ascolto.

La scrittrice inventa una soluzione per spiegare la locuzione: quando la maestra fa l’appello la chiamava Van Vera, prima il cognome e poi il nome, e non Vera Van. A Vera piace sentirsi chiamare così. Quando diventa grande Vera realizza il suo sogno e diventa uditrice giudiziaria.

Inveccchiando diventa sorda e i suoi nipoti e pronipoti la vanno a trovare e per intrattenerla le raccontano storie e discorsi senza senso. Ed ecco perché, evidenzia il racconto. da allora quando si parla dicendo cose senza senso si dice ‘parlare a vanvera’.

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