Socrate, “so di non sapere”: cosa significa?
Da Redazione
Gennaio 26, 2014
Socrate: so di non sapere. Tutto il contrario di un atto di modestia
In Socrate (469-399 a.C.), la critica dei sofisti a ogni forma di sapere diventa radicale. Ma, proprio per questo, Socrate ristabilisce un rapporto positivo con la verità. E’ sulla base di questo rapporto che, dopo Socrate, il pensiero filosofico potrà riaffrontare quel problema della conciliazione di ragione ed esperienza che aveva condotto la sofistica a negare l’esistenza della verità – l’esistenza, appunto, di un rapporto positivo del sapere umano alla verità.
Socrate afferma continuamente di non sapere. Ma questa affermazione è ben lontana dall’essere un atto di modestia, anche se tale può sembrare ai più sprovveduti. Egli infatti vuol far intendere che attorno a lui non ci sia nulla che gli consenta di sapere; né leggi, né consuetudini sociali, né credenze religiose, né principi morali, né dottrine di filosofi. Giacché “il sapere” è conoscenza ferma, incrollabile, incontrovertibile – il sapere è cioè la verità -; e invece tutte quelle conoscenze e regole, una volta esaminate, si rivelano o gratuite (ossia affermate e praticate senza che si sappia veramente perché le si affermi e le si pratichi), o addirittura contraddittorie (tali cioè che vengano esse stesse a negare ciò che intendono affermare).
Per Socrate dichiarare so di non sapere significa dunque che nessuna delle convinzioni umane a lui note gli si presenta come verità – nemmeno quelle che esplicitamente intendono valere come verità filosofica di contro alle semplici opinioni, e nemmeno quelle (proprie dei sofisti) che presumono porsi come la eliminazione definitiva di ogni verità. In questo senso, la critica di Socrate alla società è ancor più radicale di quella dei sofisti; e la condanna di Socrate da parte della società ateniese è la naturale reazione e difesa di una società che si sente minacciata nel modo più pericoloso.
Non so. Ma “so di non sapere”. La differenza che Socrate pone tra sé e gli altri è appunto questa: che gli altri non sanno di non sapere, mentre lui sa di non sapere. Sa cioè che la società e la cultura in cui vive non corrispondono all’idea della verità che i primi pensatori hanno portato alla luce, e quindi sa che cosa quella verità di cui egli rileva l’assenza: gli è cioè presente l’idea della verità.
Ma saper di non sapere non significa soltanto aver presente l’idea della verità, ma essere nella verità. La verità rinasce su un piano diverso, proprio nell’atto in cui ci si rende conto di non sapere, cioè di non possedere. L’Oracolo aveva detto che Socrate era il più sapiente dei Greci; e Socrate è convinto che questa sua maggior sapienza consista appunto nel suo sapere di non sapere: ciò vuol dire che la coscienza di non sapere è intesa da Socrate come possesso della verità (l’esser sapientissimo tra i Greci esprimendo appunto questo possesso): quel possesso che è per altro la condizione della ricerca di un sapere che non sia il semplice (ma ineliminabile) saper di non sapere.
Fonte: Emanuele Severino, la filosofia antica
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