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Tattica oplitica

Da Redazione

Ottobre 07, 2013

Tattica oplitica

Tattica oplitica

Era il sistema di combattimento sviluppato dagli eserciti greci durante l’VIII ed il VII sec. a.C., riflesso di un mutato sistema sociale, che prevedeva con l’istituzione delle democrazia l’accesso delle masse al potere ed alla partecipazione attiva degli affari dello stato. Il primo stravolgimento in battaglia del sistema oplitico riguardava innanzitutto l’individuo: egli non era più visto, come in epoca eroica, un combattente singolo, che si guadagnava tutti gli onori ed i meriti; inserito in rigidi ranghi esso perdeva la sua individualità per unirsi ai compagni e combattere come un unico uomo.

L’armamento essenziale richiesto al cittadino era la lancia e soprattutto lo scudo: dalla parola greca scudo, oplon, deriva infatti lo stesso nome dato alla tattica oplitica, che veniva ben saldato al braccio tramite un bracciale ed una impugnatura per la mano, che ne rendevano impossibile ogni tipo di movimento, se non quello di tenerlo alto all’altezza del busto; al massimo poteva essere appoggiato alla spalla sinistra per distribuirne meglio il peso. Perché quando ci si schierava ciascun soldato fornito del suo scudo rotondo, ampio circa 1 metro, avrebbe, disponendosi ordinatamente all’interno della fila, protetto se stesso ed in parte il compagno di sinistra. L’armatura in questo modo diveniva quasi superflua e per l’alto costo furono rari i casi di corazze complete in bronzo, che inoltre limitavano il movimento e la velocità; si preferirono tuttalpiù corsetti di cuoio o dell’ancor più leggero lino, ricamato comunque in spesse giubbe.

L’obbiettivo della tattica oplitica era quello di offrire al nemico una schiera impenetrabile di bronzo – quella che fu più comunemente conosciuta col nome di muro di scudi – all’interno della quale i soldati avanzavano con disciplina e colpivano i nemici tenendo alte sopra la testa le lance, alte tra i 2 ed i 3 metri. Gli scontri tra eserciti che utilizzavano questo tipo di tattica erano brevi, ma furibondi, poiché le schiere non godevano di una grande mobilità, ma potevano compiere pochissime conversioni e caricare frontalmente. Resisteva chi spingeva di più, infatti eliminati i primi secondi in cui gli uomini in prima fila hanno il tempo di muoversi e attaccare, per il resto dello scontro si restava letteralmente schiacciati gli uni agli altri.

Vinceva lo schieramento che riusciva a spingere maggiormente e resistere senza andare in rotta. Si finiva calpestati, senza ossigeno, incapaci di  compiere anche il minimo gesto con un braccio, dunque molti preferivano, scoraggiandosi e credendo di potersi salvare,voltarsi e fuggire dinnanzi alla furia dirompente del nemico. Mossa che però il più delle volte si rivelava una condanna a morte, perché fatto ciò il vincitore si dava all’inseguimento facendo strage da tergo dei fuggitivi. E decretare la fine dello scontro.

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