Selfite: ossessione di postare i selfie è un disturbo mentale

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Selfie mania malattia

Selfie mania malattiaI ricercatori la chiamano ‘selfitis’, noi in Italia la chiamiamo ‘selfite’. Cambia il linguaggio ma non il concetto. Per selfite si intende la smania di farsi sempre, in qualsiasi luogo, autoscatti e postarli subito sui social. Se la selfite è veramente un disturbo, allora oltre la metà della popolazione mondiale è malata. Da uno studio condotto dall’American Psychiatric Association emerge che il disturbo ha differenti gradi, dal più lieve al più grave. Siete pronti per conoscere i 3 stadi della ‘selfite’?

I tre livelli di ‘selfite’

Il primo grado della ‘selfite’ viene definito ‘Selfitis Borderline’: è il livello più blando del disturbo. Il soggetto solitamente si scatta al massimo 3 selfie al giorno, senza postarli sui social.

Selfitis acuta è invece il secondo stadio della ‘selfite’: il paziente si scatta almeno 3 selfie al giorno e li pubblica online. Il terzo stadio, quello più grave, è quello della selfitis cronica: la persona passa gran parte della giornata a farsi autoscatti, postandoli sui social almeno 6 volte al giorno. La smania è incontenibile.

Come si cura la ‘selfite’?

I tre gradi della ‘selfite’, dunque, si differenziano per il numero degli autoscatti che si fanno e che vengono postati quotidianamente sui social. Come fare per curare la smania di farsi autoscatti?

Gli studiosi ritengono che i maniaci del selfie si devono ‘disintossicare’ dando più spazio alle amicizie reali, allontanandosi progressivamente da quelle virtuali.

La ‘selfite’, termine coniato nel 2014, è dunque un disturbo mentale. Fortunatamente si può uscire dal tunnel della dipendenza dai selfie.

Lo studioso britannico Mark Griffiths ha affermato che, fino a qualche anno fa, molti pensavano che la ‘selfite’ fosse una bufala. Oggi, invece, si può certamente dire che tale atteggiamento è un disturbo mentale.

Malati di ‘selfite’ perdono fiducia in se stessi

‘Solitamente, coloro che soffrono del disturbo non hanno fiducia in se stessi e possono assumere atteggiamenti simili agli altri malati di selfite’, ha spiegato il ricercatore Janarthanan Balakrishnan.

Gli esperti sperano che in futuro vengano scoperti metodi per aiutare le persone affette dalla forma più grave di ‘selfite’.

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