Tumore al pancreas, chemio prima dell’intervento per vivere di più
Da Redazione
Aprile 23, 2018
I pazienti con tumore al pancreas sottoposti alla chemioterapia prima dell’intervento chirurgico potrebbero vivere di più. Il cancro al pancreas e uno dei peggiori tumori perché, quando viene diagnosticato, spesso presenta metastasi che ostacolano la sua totale asportazione. Si stima che solo nel 20% dei casi il male può essere operato subito dopo la diagnosi. Fino ad oggi, i pazienti sono stati operati e poi sottoposti ai cicli di chemioterapia. Secondo il nuovo studio italiano, diretto dall’Irccs Ospedale San Raffaele, è meglio che i pazienti oncologici vengano sottoposti alla chemio prima dell’intervento chirurgico.
Le micrometastasi ostacolano la guarigione
Per la prima volta, una ricerca ha acclarato l’importanza della chemioterapia neoadiuvante nei pazienti affetti da adenocarcinoma del pancreas operabile. Gianpaolo Balzano, chirurgo del pancreas dell’IRCCS Ospedale San Raffaele, dice che ‘sebbene la chirurgia sia un’arma molto efficace per il tumore al pancreas, la guarigione può essere compromessa dalla presenza di micrometastasi, cioè metastasi troppo piccole per essere evidenziate. L’unico trattamento efficace per combattere le micrometastasi è la chemioterapia. Tuttavia, quando applichiamo il trattamento standard e operiamo il paziente, l’inizio della chemioterapia viene posticipato di alcuni mesi per consentire al malato di riprendersi dall’intervento. Inoltre, molti pazienti non possono cominciarla affatto per possibili complicanze o difficoltà nella ripresa postoperatoria’.
La sperimentazione: pazienti divisi in 3 gruppi
I ricercatori hanno innanzitutto suddiviso gli 88 malati in 3 gruppi. Dopo essere state operate, le persone del primo e del secondo gruppo sono state sottoposte a 6 sedute di chemio, rispettivamente con un solo medicinale e con un mix di 4 farmaci. I pazienti del terzo gruppo, invece, erano stati sottoposti, prima dell’operazione, a 3 sedute di chemio con la combinazione di 4 farmaci del secondo gruppo; poi sono stati operati e trattati con altri 3 cicli di chemio.
I ricercatori hanno constatato che l’aspettativa di vita dei pazienti appartenenti al terzo gruppo è risultata doppia rispetto a quelli del secondo gruppo e quadrupla in confronto a quelli del primo gruppo. La chemio prima dell’intervento chirurgico, dunque, è molto efficace e fa vivere di più i pazienti oncologici.
‘Questo studio è l’avvio di una vera e propria rivoluzione nel trattamento del tumore del pancreas operabili. Nei pazienti trattati prima dell’intervento con il cocktail di farmaci abbiamo osservato una sopravvivenza a cinque anni del 49%. La percentuale scende al 24% nel gruppo che aveva ricevuto lo stesso cocktail chemioterapico dopo l’intervento e al 13% nei pazienti che avevano ricevuto il trattamento standard, cioè la chirurgia seguita da chemioterapia con un solo farmaco’, ha asserito Michele Reni, oncologo dell’IRCCS Ospedale San Raffaele.
Tumore al pancreas: uno dei più difficili da curare
La scienza ha fatto passi da gigante negli ultimi decenni ma il tumore al pancreas è sempre una delle neoplasie più difficile da curare per vari motivi. Innanzitutto è arduo diagnosticarlo nella fase iniziale, e e poi i farmaci attualmente usati non riescono sempre ad arginare il male. Non tutti i pazienti oncologici, anche se sottoposti a cicli di chemioterapia dopo l’operazione, riescono a vivere molto.
Per fortuna, negli ultimi anni sono state ideate nuove tecniche per affrontare il cancro al pancreas, come le chemioterapie neoadiuvanti, l’elettropolazione e la radiofrequenza. Tecniche che un tempo potevano essere usate solo sui pazienti operabili. Tra i metodi innovativi ideati recentemente per contrastare la neoplasia al pancreas c’è quella applicata presso l’Istituto Oncologico ‘Giovanni Paolo II’ di Bari. Il metodo è importato da Giappone e garantisce una maggiore sopravvivenza dei malati.
L’oncologo Cosmo Damiamo Gadaleta ha detto che “la tecnica consiste nell’attuazione di un trattamento loco-regionale mini-invasivo di tipo ‘combinato’, fisico e chimico, per così dire, chirurgico e medico. In un primo tempo, nel corso di un intervento radio-chirurgico mini-invasivo (accesso percutaneo di 2 millimetri), eseguito in sala operatoria angiografica con l’ausilio di angiografia, TAC ed Eco, il chirurgo radio-oncologo, dopo una meticolosa e lunga identificazione radiologica, ‘a cielo coperto’, di tutte le numerose piccole arterie che giungono al pancreas e al suo tumore dagli organi vicini, procede dall’interno dei vasi alla loro ‘chiusura’ con emboli metallici e colla, lasciando ‘aperta’ una sola via di accesso in corrispondenza della coda del pancreas: qui viene piazzato un cateterino per poter procedere al secondo tempo terapeutico. A questo punto, attraverso il cateterino, si procede a una lenta e prolungata somministrazione di chemioterapico. In questo modo, tutto il pancreas, compreso il tumore e le sue diramazioni che abbracciano i vasi sanguiferi e i visceri addominali vicini (duodeno, vena porta, arteria epatica e splenica) sono lentamente e continuamente perfusi con piccole ma ininterrotte quantità di chemioterapico che, un po’ alla volta, fa ‘restringere’ il tumore, fino a renderlo trattabile ulteriormente con altre modalità (elettroporazione e/o chirurgia tradizionale)”.
La tecnica approdata a Bari assicura una maggiore sopravvivenza, di circa 30 mesi: ‘Ulteriori trattamenti locali – dicono gli esperti dell’Istituto Oncologico – quali l’elettro-chemioterapia (elettroporazione reversibile più bleomicina), unitamente all’ipertermia esterna non invasiva e ad una quota di chemioterapia sistemica (chemio-ipertermia, di cui è dotato l’istituto barese) potranno ulteriormente prolungare questo prezioso lasso temporale. Il primato firmato dall’Istituto tumori restituisce speranza a quanti sono entrati nel tunnel del carcinoma del pancreas, un tumore con una prognosi molto severa, essendo la quarta causa di decesso tra le malattie oncologiche. La biologia del tumore si caratterizza per una scarsa risposta a tutte le terapie, sia di tipo chirurgico, sia di tipo chemioterapico e radioterapico. Per di più, il tumore si diffonde rapidamente mandando cellule figlie nei vasi linfatici che rivestono i nervi, molto numerosi nel distretto anatomico in cui si trova il pancreas, detto retroperitoneo. Ciò spiega il motivo della comparsa di dolore vivo, penetrante e progressivamente crescente come primo sintomo di malattia’.
L’importante tecnica e il sistema sperimentale di elettroporazione irreversibile del pancreas per via percutanea rendono il ‘Giovanni Paolo II’ un punto di riferimento, in Italia e nel mondo, nella cura del tumore al pancreas.
Molti oncologi che due anni fa si erano riuniti a Verona in occasione della conferenza nazionale Advances in Oncology, vertente sul tumore al pancreas, avevano detto: ‘Troppi interventi chirurgici contro il tumore del pancreas sono svolti in strutture che ne svolgono meno di 20 l’anno. Si tratta del numero minino raccomandato dalle linee guida internazionali e dalle istituzioni sanitarie italiane. La garanzia di un’adeguata diagnosi e cura richiede invece la definizione di percorsi diagnostici-terapeutici organizzati in rete e con centri di riferimento definiti per competenze professionali, volumi di attività e tecnologie disponibili’.
Carmine Pinto, presidente nazionale dell’Associazione italiana di oncologia medica, ha spiegato che ‘la chirurgia del cancro al pancreas è estremamente complessa. Richiede un approccio multidisciplinare e una formazione di equipe che possono essere garantiti solo in centri ad ‘alto volume’ che trattano ogni anno un numero sufficiente di casi’.
Una neoplasia insidiosa
Il luminare Claudio Bassi reputa il cancro al pancreas ‘una neoplasia particolarmente insidiosa. Colpisce ogni anno 12.500 italiani e nonostante la sua bassa incidenza ha una mortalità molto elevata. Non esiste uno screening per individuare diagnosi precoci e quindi siamo costretti ad intervenire quando la situazione è già complessa con interventi gravati da molte e pericolose complicanze. Per tutti questi motivi non è più accettabile che alcuni pazienti siano operati in centri che svolgono uno o due interventi l’anno. Solo attraverso la giusta specializzazione si può curare la patologia’.
A detta del professor Tortora, responsabile dell’Oncologia universitaria e dell’Azienda ospedaliera di Verona, solo il 7% degli uomini e il 9% delle donne sopravvivono dopo 5 anni dalla diagnosi della neoplasia al pancreas: ‘Diagnosi tardive, pochi sintomi evidenti e la velocità di evoluzione del tumore sono le principali cause per cui abbiamo ancora esiti infausti. Oltre la metà dei casi viene diagnosticata quando la malattia è già in fase metastatica. Se vogliamo dare nuove speranze ai pazienti è necessario riorganizzare anche l’attuale sistema di cure e investire maggiori risorse nella ricerca medico-scientifica’.
La carenza delle associazioni di volontariato in oncologia
In Italia, a differenza di altre nazioni, sono carenti le associazioni di volontariato in oncologia. Il professor Francesco De Lorenzo ha affermato che ‘solo il 3% dei pazienti afflitti dalla neoplasia riesce a guarire. Le possibilità per il mondo del volontariato di reclutare persone con queste esperienze sono perciò molto ridotte. A differenza di altri Paesi, come l’Inghilterra, in Italia non sono attive associazioni di malati. Questo rende ancora più difficile affrontare la patologia. La nostra Federazione, insieme alle associazioni di medici, è da anni impegnata affinché sul tumore del pancreas sia prestata maggiore attenzione da parte di tutti. Aumentare l’informazione e il dibattito sulla malattia attraverso campagne ed eventi specifici deve essere il nostro primo obiettivo. E’ una forma di cancro, quella del pancreas, che riceve solo il 2% dei finanziamenti per la ricerca a livello europeo…’.
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