Social eating, arrivano gli home restaurant.

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migliori-social-eatingSe hai dello spazio in casa, passione per la cucina e il cibo, se sei avvezzo alle pubbliche relazioni e hai buone doti comunicative, siete praticamente pronti per trasformare la vostra sala da pranzo in un home restaurant.

Ebbene si, avete capito bene: è in arrivo alla camera la legge che regolarizza con norme più puntuali e dedicate l’attività di ristorazione casalinga.

Il fenomeno della ristorazione privata è un fenomeno abbastanza recente, accanto al proliferare di servizi di ordini online e consegna di cibo a domicilio, e ha preso piede in Italia senza alcuna regola ad arginare questo tipo di business, con ampie proteste delle associazioni di categoria.

La Confesercenti esprime la sua soddisfazione per questo passo in avanti che sancisce una prima “regolamentazione della ristorazione in abitazione privata”.

Secondo i dati di Confesercenti, il nascente settore degli home restaurant solo nel 2014 ha fatturato in Italia 7,2 milioni di euro, con 7mila i cuochi social attivi, oltre 37 mila gli eventi social eating organizzati e una partecipazione di circa 300 mila persone. Inoltre l’incasso medio stimato, per singola serata, è stato pari a 194 euro. Lombardia (16,9%) Lazio (13,3%) e Piemonte (11,8%) sono le regioni in cui il fenomeno si è diffuso più facilmente.

Quali regole? Per evitare che nascano veri e propri ristoranti in grado di sottrarre lavoro ai pubblici esercizi in maniera scorretta, si è stabilito un tetto massimo di 500 pasti all’anno (cioè poco più di 1 coperto al giorno) e 5mila euro di incasso per ogni cuoco (equiparato all’abitazione, per evitare che le cifre si sommino se è più di un individuo a cucinare).

Chi vuole aprire un ristorante in casa deve presentare la cosiddetta  “Scia”, cioè la dichiarazione di inizio attività commerciale e le transazioni devono avvenire mediante le piattaforme digitali e attraverso sistemi di pagamento elettronico.

Viene inoltre stabilito che tutte le attività di social eating devono passare obbligatoriamente attraverso le piattaforme digitali (vedi Gnammo ad esempio), tenute a verificare i requisiti minimi di abitabilità delle case, una minima conoscenza da parte dei cuochi delle modalità di manipolazione dei cibi e la presenza di una copertura assicurativa per gli utenti, per la loro incolumità (rispetto delle norme igieniche).

Tuttavia resta un paradosso fondamentale: la legge non prevede periodici controlli igienico-sanitari, così come avviene per tutti gli esercizi pubblici. Quindi se da un lato si prevede l’applicazione di norme severe – comunitarie, nazionali e locali –  che disciplinano correttamente il settore della somministrazione di alimenti e bevande per tutelare il consumatore, dall’altro però non sono previsti controlli.

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